La bellezza è tale perché crea tensione. A differenza di ciò che è immediato, patinato, piatto, omologante e, dunque, omologato, la bellezza richiede attenzione, tempo, dedizione. Si disvela lentamente, soltanto a gli occhi di coloro che hanno pazienza. Come, non a caso, l’amore. La bellezza può far storcere il naso, creare dolore. La bellezza può far sanguinare. Come la verità.
La bellezza è un viaggio, il cui valore si dischiude mentre ne percorriamo la strada, per niente scontata, a volte tortuosa. E questo vale per la letteratura, la musica, la pittura, l’architettura e il cinema.
E’ un po’ come la differenza tra un pezzo di musica commerciale, che ascoltiamo quando abbiamo voglia di distrarci e non pensare a nulla (“Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente…”). E un pezzo di Bach, di Beethoven, di John Coltrane, di Dalla o di De André. Che fanno tremare i polsi.
La bellezza costringe al silenzio dell’introspezione, dove ci troviamo da soli con noi stessi, le nostre paure, i nostri limiti e le nostre personali miserie. E’ come trovarsi di fronte allo specchio, inchiodati dal nostro stesso sguardo, al quale non possiamo sfuggire e al quale non possiamo mentire. E se gli mentiamo, sappiamo che stiamo mentendo.
La letteratura ci costringe a questo. A sentire e vedere noi stessi, nudi, a vedere e sentire gli altri. Vestire panni che non vorremmo mai vestire, perché temiamo che ci appartengano.
La letteratura ci costringe a dare un nome alle cose e alle emozioni. Nel dare loro un nome ci mette nelle condizioni di conoscerle, e quindi di conoscere noi stessi e i meccanismi attraverso i quali pensiamo e agiamo. Ci costringe a rompere il muro della superficialità e a dare spessore a ciò che vediamo e sentiamo. Ci costringe alla complessità.
Questo è ciò che fa la letteratura ed è ciò che fa l’arte, in tutte le sue forme. Questo è il suo compito.
Ho ritrovato tutto questo ne “Il libro delle case”, l’ultimo romanzo di Andrea Bajani, candidato al Premio Strega 2021, edito da Feltrinelli.
Si tratta di un libro che, appunto richiede pazienza. E’ la storia di ‘Io’, che non ha né nome, né cognome, così come tutti i personaggi che popolano il racconto. Una storia che attraversa gli ultimi trent’anni del Novecento Italiano, nella quale affiorano l’omicidio Moro e l’uccisione di Pasolini, ai quali lo scrittore si riferisce in quanto ‘Prigioniero’ e ‘Poeta’; e che arriva fino agli inizi degli anni ’20 del nuovo secolo.
La storia di ‘Io’ non viene narrata diacronicamente, ma attraverso le case che questi ha abitato e nelle quali egli ha abbandonato qualcosa di sé. Attraverso questo abbandono, questo tradimento, ‘Io’ costruisce, di volta in volta, se stesso.
“Il libro delle case” ci costringe a riflettere su chi siamo, su cosa abbiamo lasciato dietro di noi, quanto e cosa di noi stessi abbiamo tradito per essere ciò che siamo oggi.
Antonio Desiderio