In quanto professionista che opera nel marketing del turismo d’eccellenza, ho avuto la possibilità di constatare quanto il concetto di ‘lusso’ possa essere male interpretato e essere visto in un’accezione negativa.
Il termine ‘lusso’ è spesso associato al concetto di ‘esclusività’. Di qui l’idea che il mercato del lusso sia, per sua stessa natura, economicamente e socialmente esclusivo di alcuni (una vasta platea rappresentata da coloro che non hanno accesso ad esso); e inclusivo di altri (una élite rappresentata da coloro il cui reddito garantisce, invece, l’accesso ad esso).
Mentre, da un lato, ciò è vero, poiché il prezzo tende a stabilire confini più o meno marcati tra gruppi sociali, dall’altro il concetto di esclusività ha più a che fare con la percezione che si ha del mercato cosiddetto del lusso, più che con con la sua natura intrinseca.
Osservando più da vicino i processi attraverso i quali i beni di lusso sono ideati e prodotti, ci si accorge che questi hanno, in realtà, una natura meritocratica, ergo, in un certo qual modo, democratica. In che senso?
I beni di alta qualità richiedono alti livelli di conoscenza e competenze, sia tecniche che intellettuali, per poter essere concepiti, progettati e realizzati. Alla stessa maniera, essi richiedono, dal lato del fruitore finale, di altrettanto alti livelli di consapevolezza culturale per poter essere capiti e apprezzati. Livelli che prescindono dal ceto sociale di appartenenza sia di chi crea che di chi fruisce di tali beni.
Ad esempio, che tipo di competenze e conoscenze deve avere un chef stellato per poter realizzare i suoi piatti?
Quanta preparazione questi deve avere, quali sforzi compiere per poter realizzare i propri obiettivi di carriera, migliorando, così, la propria condizione sociale di partenza?
D’altra parte, gli ingredienti che tali chef utilizzano per dare vita alle proprie creazioni non sono prodotti da potenti aziende multinazionali, ma, nella larga maggioranza dei casi, da piccole e medie imprese agricole e ittiche, spesso a conduzione familiare.
Di quale livello di preparazione tecnica e di qual preparazione culturale deve disporre un sarto per poter concepire e realizzare i propri abiti?
Quali competenze logiche, matematiche, statistiche un revenue o un marketing manager deve avere per riuscire a sostenere e ad aumentare i livelli di vendita di un hotel? Quali capacità di analisi del mercato, della politica e degli andamenti dell’economia?
La possibilità di essere virtuosi da parte delle aziende che operano in questo come in altri segmenti del mercato, così come lo stato generale di salute dell’economia di uno Stato, risiede, pertanto, nella capacità di attrarre competenze. Questo è particolarmente vero in un paese come l’Italia, nel quale le competenze sono troppo spesso sacrificate sull’altare delle connessioni sociali, e dove le disparità di genere privano le aziende di un vasto bacino di lavoro altamente qualificato e specializzato.
Dunque, una volta stabilita l’importanza delle competenze, il prezzo di un bene di lusso altro non è che la risultante degli alti livelli di preparazione tecnica e intellettuale che sono richiesti per produrlo – più che una intrinseca qualità di esso.
Ecco, allora, che il concetto di esclusività cessa di essere legato ad un bisogno di distinzione sociale, e si fonda su una combinazione virtuosa di cultura, competenze e conoscenza; la quale deve a sua volta corrispondere, dal lato del fruitore, ad un altrettanto importante grado di consapevolezza culturale affinché per tali beni possa esistere un mercato.
Solo un pubblico colto può comprendere ed apprezzare la bellezza di un’opera di architettura o di design, o di una creazione di alta gioielleria – bellezza che si fonda su un denso complesso di storia, tradizioni e sapienza artigianali.
Questi sono, dunque, i motivi per quali sarebbe più corretto parlare di mercato d’eccellenza o di alta qualità, più che, semplicemente, di mercato dei beni di lusso.
Antonio Desiderio